domenica 25 aprile 2010

CIRO VITALE - Il sangue dei vincitori

Concetti come “demitizzazione”, “desacralizzazione”…, allorché intesi come percorsi di emancipazione da principi di falsa autorità, funzionali esclusivamente al dominio, possiedono senz’altro un’accezione positiva, ma la loro azione corrosiva si spinge oggi ben oltre tali limiti, insidiando pericolosamente ogni valore. Da oltre quindici anni ormai, nel nostro paese, il suono della parola “libertà” ci risulta inequivocabilmente alterato e la stessa sorte, più di recente, sembra toccare ahimé alla parola “amore”. La greve retorica strumentale della nostra classe politica, al pari di un bulldozer, non arretra di fronte a nulla: ogni argomento, anche il più scottante e delicato, va sfruttato al fine di migliorare la propria immagine, che poi coincide con l’appeal mediatico e non costituisce che un involucro distante dal contenuto quanto i pixel di uno schermo dalla realtà dei fatti. Il 25 aprile, sempre naturalmente che non ci si voglia abbandonare addirittura al sempre incalzante vento revisionista, si può così, sotto i riflettori, lasciarsi andare ad inni bipartisan alla Resistenza come evento fondante per la libertà e la democrazia nel nostro paese, paragonarla per valore simbolico al Risorgimento, ma consolidare, nel buio di una informazione dalla latitanza altrettanto bipartisan (altro che tutto il potere mediatico nelle mani di uno solo!), la propria posizione di potenza imperialista, fomentare la guerra tra i poveri quando i “sudditi” delle nostre “colonie” reclamano la sopravvivenza sbarcando “clandestinamente” nella “madrepatria” o dirigere operazioni in stile cileno quando un gruppo troppo ampio di persone sta prendendo coscienza che tutto ciò è insostenibile, come succede a Genova nove anni fa, innescando il lento ma costante declino del “movimento dei movimenti”.





Ciro Vitale, In Absentia # 1, 2009.

L’unico antidoto alla nebbia accecante della propaganda permanente (ché il fatto che le elezioni siano lontane non intacca per nulla tale atteggiamento), sembra suggerire Ciro Vitale, il cui attaccamento alla memoria della resistenza partigiana, sentita come una sorta di religione civile, da ricondursi in primis alle proprie radici (Ciro è nato e vive a Scafati, città che nel 1962 l'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia insignisce della medaglia d'oro per “onorare il sacrificio eroico (...) nel resistere ai nazisti ed ai fascisti”), unito alla sua giovane età (35 anni), che lo separa di almeno due generazioni da quella dei suoi umili eroi, fa di lui un personaggio di raro candore, risiede nel recupero di una dimensione di autenticità e verità. L’autenticità che emanano i loro fieri quanto familiari ritratti, quello stesso sentimento di genuino, di incorrotto, ma anche di terribilmente solido e potente, che comunicano le foto dei monti innevati cui sono accostati. La verità che scaturisce preziosa dalle loro labbra, provenendo dal serbatoio della loro memoria, da cui Ciro pende felicemente per ore ed ore, mentre ascolta i loro racconti, benché il pensiero di una ormai non lontanissima estinzione di ogni testimone diretto lo turbi non poco.





Ciro Vitale, Senza Titolo (Omaggio alla memoria di Piazzale Loreto), 2010.

La verità, peraltro, non solo va accuratamente preservata, ma talvolta letteralmente ripristinata per mezzo di un atto di vero e proprio revisionismo di segno contrario: è quanto avviene per Piazzale Loreto che, di certo più famosa come teatro dell’esposizione pubblica del corpo di Mussolini (29 aprile 1945), è anche il luogo in cui sono fucilati per rappresaglia quindici partigiani prelevati tra i detenuti politici di San Vittore (10 agosto 1944), ma oggi, in ogni caso, divenuta uno snodo altamente trafficato, sembra non conservare più alcuna traccia di tali vicende. Negli spazi della milanese Galleria Arte Borgogna, in occasione della sua personale Ti dico degli assenti, a cura della collega, amica e compagna Francesca Guerisoli, egli costruisce così una sorta di moderno cenotafio ove la stentata volontà di ricordo rappresentata dai ritratti lightbox sbiaditi dei quindici sventurati antifascisti è insidiata dal prosaico frastuono che il piazzale emana, come di consueto, il 10 agosto di sessantacinque anni dopo.





Ciro Vitale, Rewind, 2009.

Un cenotafio a tutti gli effetti va considerato senz’altro anche quello a Carlo Giuliani, concepito proprio nei giorni in cui la repressione poliziesca si fa più incalzante nei confronti del movimento studentesco dell’Onda ed a pochi mesi dal vertice annuale del G8, che dopo otto anni ritorna in Italia con tutti gli attori mutati ad eccezione del padrone di casa. Una scelta che testimonia come la devozione di Ciro per certi protagonisti e certe vicende non possieda nulla di nostalgico, ma sia pronta a trascendere le coordinate spazio-temporali specifiche per proiettarsi in ogni luogo ed in ogni era. La resistenza infatti, come il romanticismo, è sia storica che perenne. L’abbinamento tra una bandiera tricolore in bianco e nero recante al centro la sagoma dell’ormai warholiano braccio con il rotolo di scotch a mo’ di bracciale e costantemente agitata dal vento, ed uno schermo che trasmette in loop una cascata di melma innesca una riflessione che si alimenta della dialettica tra passato non remoto e futuro assai prossimo. L’imprevedibile circostanza del terremoto, con la conseguente decisione di spostare il vertice dalla Maddalena, cui la melma intende riferirsi, a L’Aquila, cambierà però di lì a poco le carte in tavola.

Stefano Taccone


4 commenti:

  1. Nel tempo dell'inganno universale
    dire la verità è un atto di Rivoluzione

    George Orwell

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  2. I veri semi della pace non si trovano nei nobili ideali, ma nella comprensione umana e nell'empatia della gente comune...

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  3. ...poichè le guerre nascono nell'animo degli uomini è nell'ambito degli uomini che devono essere costruite le difese della pace...
    Dal Preambolo dell'Atto Costitutivo dell'Unesco

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  4. La memoria, la resistenza.
    Quando?
    Oggi, presente, ma è resistenza contro noi stessi, contro uno Stato che dovrebbe essere la nostra manifestazione più alta.
    Significa gonfiare i muscoli ogni giorno per non implodere, sopportare una pressione idrostatica costante che stritola l'esistenza.
    Oggi resistere significa principalmente sopravvivere, ciò è lontano dalla lotta per un mondo migliore

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