mercoledì 3 giugno 2020

QUANDO IL RISCHIO SI FA CONCRETEZZA - "La società del rischio" prima e dopo Codogno

(Il testo costituisce il mio contributo alla mostra collettiva La società del rischio, curata da Patrizia Bonardi in collaborazione con l'associazione artists.sociologists ed  allestita presso il BACS di Leffe - Bergamo - dal 7 dicembre 2019 al 20 agosto 2020. In mostra opere degli artisti Valentina Biasetti, Patrizia Bonardi, Enzo Calibè, Ciro Ciliberti, Franco Cipriano, Carla Crosio, Antonio Davide, Francesca Lolli, Daniela Di Maro, Francesca Marconi, Renata Petti, Elena Radovix).

Il 2019 è stato l’anno del green. Mai come in quei dodici mesi infatti probabilmente si è parlato di emergenze ecologiche - in particolare cambiamenti del clima, scioglimento dei ghiacciai e possibilità di inondazioni -, ma è anche apparso più che mai evidente tutto il grado di cattura spettacolare che il “discorso verde” ha subito. Così, accanto a pensieri e paure più o meno sotterranei, si è scatenata tutta una pletora di tossiche chiacchiere sloganistiche provenienti dai vari attori dello spettacolo contemporaneo dalla politica sedicente progressista alle aziende sedicenti illuminate; dagli eventi culturali a quelli sportivi, tutti venduti come irreprensibili modelli di “sostenibilità”. Così dalle Olimpiadi Invernali 2026, strombazzate come giochi che si sarebbero svolti quanto mai all’insegna del rispetto dell’ambiente, ma che Milano si è aggiudicata seguendo in diretta la cerimonia di assegnazione con assai poco sostenibili maxischermi – è proprio il caso di esclamare “Cominciamo bene!” – al neosegretario del maggior partito italiano dell’area della sinistra riformista che dedica la sua elezione a Greta Thunberg e poi come primo atto dopo il suo insediamento va a visitare il cantiere della TAV in Val di Susa, il green come foglia di fico per continuare a perpetuare di fatto le logiche predatorie del capitalismo ha di fatto messo nell’angolo i pur interessanti – ma quanto meno ambigui – fermenti del nuovo movimento ambientalista nascente. 


Daniela Di Maro, Il petrolio è finito, 2018, installazione luminosa.


Il 2020 si apriva in sostanziale continuità con tutto ciò. Si prevedeva infatti una impennata sempre meno sostenibile di retorica sulla “economia sostenibile”, mentre la prospettiva della catastrofe futura pareva tutto sommato ancora troppo lontana per fare paura davvero, così come appariva lontano il coronavirus, relegato nel “lontano oriente”. Fatti della Cina! Cosa anche buona del resto, così l’Occidente si toglie finalmente di mezzo un “competitor” che ci da filo da torcere da oltre un decennio, pensava qualcuno. Cosa hanno cambiato nella nostra vita quotidiana la sars, la mers o altre epidemie dell’ultimo ventennio? Hanno solo riempito le pagine di qualche giornale e alimentato gli incubi di qualche ipocondriaco, ma nulla più. Magari abbiamo preso spunto per fare qualche battuta divertente, intentare qualche barzelletta, qualche vignetta… Più che il virus – bisogna dirlo – facevano paura i cinesi in Italia, specie in territori ove ci sono comunità assai nutrite, e non sono mancati spiacevoli episodi di razzismo annessi. 


Patrizia Bonardi, Onde anomale, 2019, gesso sabbia e cera d'api.


Nell’insieme tuttavia vivevamo ancora una vita “normale”, finché non è arrivato quel giorno dell’ultima decade di febbraio in cui tutta l’Italia ha conosciuto il primamente oscuro paesino di Codogno. Di lì a poco la nostra vita, si è detto, è diventata simile ad un romanzo o ad un film distopico. Significativo il fatto che il paragone più facile e forse più calzante fosse proprio con situazioni di finzione. Significativo del fatto di quanto per decenni e decenni le paure para-apocalittiche abbiano ingentemente popolato una parte della nostra psiche e forse tutta la produzione creativa ha anche avuto la funzione di esorcizzarle – sia per i produttori che per i fruitori. Chissà se ad una sorta di operazione esorcistica non sia del resto assimilabile persino La società del rischio, apertasi presso il BACS di Leffe il 7 dicembre 2019. Un esorcismo collettivo, un toccasana contro le paure più o meno confessate cui si sono sottoposti con grande sollievo gli artisti e gli spettatori, ma anche i sociologi o intellettuali di altra formazione che hanno scritto i testi – io stesso mi pongo in questo novero! 


Antonio Davide, Affissioni, 2019.


Bisogna ammettere che le persone più sensibili e più coscienti su un piano politico-morale spesso percepiscono lucidamente la gravità di quanto potrebbe accadere in un futuro prossimo, ma insieme – proprio in virtù della loro lucidità – percepiscono anche la loro impotenza rispetto al branco di pachidermi che sta avanzando contro di loro. Non conosco testo o immagine che sia capace di descrivere questa sensazione meglio della poesia Privi di potere (1971) del celeberrimo scrittore tedesco – scomparso da qualche anno - Günter Grass, che vale la pena riportare per intero: 

Leggiamo «napalm» e ci immaginiamo il napalm. 
Dal momento che non possiamo immaginarci il napalm, 
leggiamo del napalm, finché possiamo 
immaginarci meglio il napalm. 
Ora noi protestiamo contro il napalm. 
Dopo la colazione, muti, 
vediamo in fotografia cosa può fare il napalm. 
Ci indichiamo l’un l’altro rozzi reticoli 
e diciamo: vedi, questo è il napalm. 
Presto ci saranno libri di fotografie a buon prezzo 
con foto migliori, 
dalle quali risulterà più chiaramente 
cosa può fare il napalm. 
Ci rosicchiamo le unghie e scriviamo proteste. 
Ma c’è, così leggiamo, 
qualcosa che è ben più terribile del napalm. 
Subito protestiamo contro questa cosa più terribile. 
Le nostre proteste giustificate, che in ogni momento 
possiamo stilare piegare affrancare, le sbattiamo in libri. 
Impotenza di cui si fa prova su facciate di gomma. 
Impotenza fa suonare dischi: canti impotenti. 
Senza potere e con la chitarra. 
Ma con il pugno di ferro e in piena tranquillità 
fuori agisce il potere. 

Ad essa accosterei soltanto un piccolo frammento dal poemetto Le ceneri di Gramsci (1957) di Pier Paolo Pasolini, in quanto testimonianza ancora di un simile stato d’animo: 

[…] Ma come io possiedo la storia, 
essa mi possiede; ne sono illuminato: 
ma a che serve la luce? […] 


Elena Radovix, Metà fisica e metà no, 2017, foto da una serie di tre.


Ma tornando al giorno del “caso Codogno” e seguenti, ciò che va rilevato è come una mostra come La società del rischio possa dirsi per un verso anticipatrice inconsapevole di tutto ciò che abbiamo vissuto negli ultimi mesi e per un altro verso assolutamente interna allo spiazzamento che ciascuno di noi – a cominciare naturalmente dai virologi – ha subito in questo frangente. Un conto, in altre parole, è il rischio inteso come preoccupazione affatto fondata più o meno a lungo termine; un altro conto è trovarsi nel bel mezzo dell’ “epifania” di quel rischio. Allora non si ha ancora certo l’effetto livellatore paragonabile alla morte secondo Totò, ma certo molte distinzioni cominciano a perdere di senso. Ci si ricorda ad esempio della propria vulnerabilità di esseri umani, mentre passa quanto meno in secondo piano la coscienza di essere artisti, poeti… o di esporre in mostre, pubblicare libri… I nostri progetti – prima ancora che i nostri corpi – vengono quarantenati. Persino, d’altra parte, gli “investimenti verdi” si chiede di accantonare, onde riservarli a “tempi migliori”, rendendo così palese quanto essi fossero davvero dettati da una effettiva esigenza di tamponare una emergenza. Non lo erano non perché la minaccia del surriscaldamento globale è una invenzione di complottisti contro il “progresso”, ma perché quanto meno inadeguati alla mole della catastrofe incombente, un secchiello per contenere il mare come nella leggenda che ha per protagonista Sant’Agostino e Gesù Bambino. Le ragioni di quegli investimenti erano dunque tutte interne alle logiche del greenwashing, ma le strategie di marketing sono come la moda e il vento: cambiando repentinamente direzione e intensità. 


Francesca Lolli, RiGenerazione, 2017, foto di scena di Judy QuianQuian dalla video-performance.


La crisi del Covid ci rivela insomma – mi guarderei bene dall’adoperare la locuzione “ci insegna” –, o quanto meno ci suggerisce, che le catastrofi globali sono relegabili nel cassetto del futuro remoto del nostro cervello assai meno di quanto ciascuno di noi – forse nessuno escluso, neanche Greta, Naomi Klein o i più grandi climatologi ed ambientalisti che da decenni ci allertano su certe minacce – potesse credere fino a poco tempo fa. Ho scritto “catastrofi globali” ma stavo per scrivere “catastrofi ambientali”. Crediamo infatti che il Covid sia “capitato”, così come più di una decina d’anni fa qualcuno osservò che la crisi finanziaria e quindi economica era “capitata”, come a dire che si trattava di un puro effetto casuale senza causa? Una spiegazione del genere mi pare quanto meno inadeguata. Se la pandemia ci ha fatto toccare con mano quanto la voce della scienza possa essere plurale e discordante, resta che molti scienziati da tempo allertano non solo sul cambiamento climatico, ma anche sui nuovi virus con cui l’uomo entra progressivamente in contatto, virus prima inaccessibili all’uomo perché ben “protetti” nel cuore delle foreste, ma ormai sempre più “a piede libero” nella misura in cui il comportamento umano si mostra quanto meno devastante nei confronti degli habitat naturali delle altre specie. (1: Su questi temi cfr. almeno K. Zimmer, Malattie infettive in aumento a causa della deforestazione, in “National Geographic”, Milano, giovedì 19 dicembre 2019; https://www.nationalgeographic.it/ambiente/2019/12/malattie-infettive-aumento-causa-della-deforestazione ) Tra lo stesso surriscaldamento globale e i “nuovi” virus esiste una sinistra connessione: molti virus sono infatti “tenuti a bada” da ghiacciai che hanno i giorni contati. (2: Su questi temi cfr. almeno F. Santolini, Il cambiamento climatico potrebbe “liberare” antichi agenti patogeni, in “La Stampa”, Torino, 14 marzo 2020. https://www.lastampa.it/tuttogreen/2020/03/14/news/il-cambiamento-climatico-potrebbe-liberare-antichi-agenti-patogeni-1.38578773  ) Si consideri inoltre la moltiplicazione degli spostamenti che l’ultimo decennio-quindicennio ha conosciuto, con la diffusione sempre più capillare – tra l’altro – dei voli low cost – low cost per le tasche, ma certo high cost per l’ambiente -, che per alcuni scienziati potrebbe essere un motivo non secondario della diffusione circoscritta delle epidemie del nuovo secolo. Già perché se le epidemie ci sono sempre state è anche vero che pare non siano mai sorte così tante in un arco temporale così ristretto come l’ultimo ventennio. Sarà anche questo un caso? (3: Per approfondire il rapporto tra nuove epidemie e devastazione ambientale cfr. ancora A. Pinchera, Il coronavirus e il nostro futuro prossimo, 17 maggio 2020; https://www.greenpeace.org/italy/storia/7098/il-coronavirus-e-il-nostro-futuro-prossimo/
)  

Stefano Taccone