(Dal catalogo della mostra personale di Sam Durant Propaganda of the Deed, a cura di Federica Forti, ospitata presso il Centro Arti Plastiche di Carrara dal 19 ottobre al 25 novembre).
[1] P. Doria, Joseph Beuys e Toni Ferro artisti del
dissenso. Poetica, etica e pedagogia libertaria, Gangemi editore, Roma,
1997, p. 42.
[2] Per approfondire
la figura di Toni Ferro e l’attività del Teatro Comunitario cfr. anche D. Di
Marzio, T. Ferro, Attraversamenti, 2
vol., Edizioni Eclissi, Squillace Lido, 2003 ed il capitolo Teatro di guerriglia psico-semiologica
urbana, in S. Taccone, La
contestazione dell’arte, Phoebus, Casalnuovo di Napoli, 2013, pp. 81-98.
[3] P. Doria, cit., p.
42.
Sam Durant,
costantemente impegnato a dare voce alle marginalità della storia, ai suoi
vinti – nel suo discorso entrano così le Black Panthers, gli indiani d’America,
gli attivisti altermondisti occidentali… – ed a celebrarne la loro dignità, sceglie
in questa occasione - come già in precedenza - di riferirsi ai protagonisti ed
alle vicende del movimento anarchico ed in particolare – ispirato dalla sua
permanenza a Carrara, notoriamente la capitale italiana dell’anarchismo, in occasione
della sua partecipazione all’edizione della biennale di scultura di tre anni fa – a quello italiano, ma la soluzione dei busti in marmo – oltre ai contenitori esplosivi con citazioni incise del medesimo materiale – se richiama immediatamente il contesto nonché la sua realtà di sfruttamento – che risiede all’origine dello stesso sviluppo di un anarchismo radicato tra i lavoratori delle cave -, ingloba non di meno una stridente contraddizione: il referente di quei ritratti, malgrado l’ incompiutezza del modellato, resta comunque un linguaggio aulico – e quindi anti-anarchico per eccellenza.
Non si tratta però
in nessun modo - si badi bene – di un fraintendimento, di un errore concettuale
da parte dell’artista. Egli registra piuttosto un paradosso che costituisce la
diretta conseguenza della mancata realizzazione dell’utopia dei Pisacane e dei
Malatesta, palesando come in realtà ogni tentativo di riscattare la parte
sconfitta finisca per configurarsi anche e soprattutto come un riaffermare la
sconfitta stessa, in quanto inevitabilmente impronunciabile se non attraverso
il linguaggio dei vincitori.
Stefano
Taccone
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