Dalla brochure di Insieme, Installazione di Peppe Pappa (Vernissage: Fonderie Righetti – Villa Bruno, San Giorgio a Cremano, 6 aprile 2011).
Qualche settimana fa un esuberante e combattivo “intellettuale padano”, intervenendo in un talk show dedicato all’imminente centocinquantenario dell’Unità d’Italia, osservava come fino a qualche mese fa nessuno sapesse che cos’è il 17 marzo, mentre ora tutti quanti sembrano riscoprire improvvisamente il sentimento verso il tricolore ed emozionarsi alle note dell’inno di Mameli, atteggiamenti che, intendeva probabilmente insinuare, sono esclusivamente dettati dalla necessità di opporre nuovi espedienti propagandistici contro la Lega ed il suo popolo. Tale discorso, per quanto colui che lo ha pronunciato possa apparire detestabile e per quanto si possa essere lontani anni luce dalle ragioni della fazione cui egli appartiene, mi sembra illuminante sulle dinamiche dell’odierno dibattito pubblico che accompagna la ricorrenza.
Sorvolando sulle controversie tragicomiche (in quanto risibili per il loro bassissimo profilo, ma condotte da coloro che dovrebbero occuparsi della guida del paese e dunque rappresentare la quintessenza del suo valore intellettuale e morale) del tipo “festeggiare l’Italia unita restando a casa o lavorando”; “festeggiare l’Italia unita prima o dopo aver approvato il federalismo; “chi è per l’Italia unita è anche per l’Italia federalista o meno” etc., la realtà è che il campo della visibilità mediatica (ché il paese reale è un’altra cosa) risulta sostanzialmente diviso tra chi, come da almeno due decenni a questa parte, si mostra freddino, quando non ostile al concetto di italianità, poiché, agitando in sottofondo lo spettro del “sacco del nord” (Cfr. L. Ricolfi, Il sacco del nord. Saggio sulla giustizia territoriale, Guerini e associati, Milano, 2010), promette alla sua gente un futuro di prosperità in virtù della definitiva liberazione da “Roma ladrona” e chi, come quella che potremmo a buon diritto chiamare “postsinistra”, in quanto erede diretta di una identità un tempo effettiva, ma oggi, come sostengono Marino Badiale e Massimo Bontempelli nel loro amarissimo saggio La sinistra rivelata, assolutamente «priva di un contenuto preciso e quindi vuota» (M. Badiale, M. Bontempelli, La sinistra rivelata. Il Buon Elettore di Sinistra nell’epoca del capitalismo assoluto, Massari editore, Bolsena, 2007, p. 180), è pronto ad appropriarsi di qualsiasi argomento “politicamente corretto” pur di arginare la sua totale mancanza di reale motivazione, esclusa naturalmente quella di conquistare e/o rimanere al potere.
Nel mezzo del frastuono prodotto da tale antitetico ma infondo assai simmetricamente orientato dualismo (dal momento che se le contrapposizioni si manifestano in modalità anche molto accese e violente, il fine ultimo degli uni e degli altri è in definitiva il medesimo) ciò che viene posto tra parentesi non sono soltanto i reali, e certo più articolati, pensieri ed aspirazioni dei cittadini, e neanche i loro, e sempre più urgenti, bisogni materiali, bensì anche ogni seria e documentata riflessione di carattere storico volta alla comprensione dei fatti, nella loro ambivalenza e complessità, più che alla messa a punto di nuove ed immediate armi dialettiche (che peraltro di dialettico hanno davvero ben poco). Più che un tabù, infine, bensì un qualcosa di paleolitico verrebbe considerato un discorso che facesse appello alla preminenza di quello che un tempo si chiamava “internazionalismo proletario”, ma tanto il “pericolo” che qualcuno tiri fuori un rottame di tale risma è praticamente prossimo allo zero. Resta sempre da spiegare tuttavia per quale motivo la moltitudine dei giovani precari e sottopagati italiani ed europei debba sentirsi più vicina alla casta che guadagna in un giorno quanto loro non guadagneranno per un’intera vita ma appartiene, come loro, alla “nobile stirpe italica”, piuttosto che, ad esempio, alla coetanea moltitudine che in questi mesi sconvolge l’area magrebina.
A fronte di tale confuso quanto scarno dibattito Peppe Pappa recupera i modi e le ragioni del suo percorso recente e meno recente, compresi quelli esplicati in alcuni di quei frangenti in cui, come avviene da circa un anno e mezzo a questa parte, indossa le vesti del curatore, ruolo che peraltro ha ancora intenzione di ricoprire in futuro, oltre e piuttosto che come artista. Eludendo tanto l’acritica celebrazione quanto la becera svalutazione, nonché forte, per un verso, dell’ineludibile tensione morale che oggi come ieri non può risiedere al di fuori dell’orizzonte di colui che, per quanto sia titolare di un potere d’impatto assai limitato rispetto alla megamacchina del consenso plutocratico, si cimenta nella produzione autonoma di linguaggio (sono questi alcuni dei principi ispiratori della mostra curata da Pappa nel giugno del 2010, Moralità per il mondo), e conscio, per un altro verso, della condizione di particolare criticità che attraversa il nostro paese da tempo, ma che negli ultimissimi anni pare aver conosciuto una ulteriore radicalizzazione (uno scenario tale da indurlo ad intitolare la mostra da lui curata il mese immediatamente successivo Impeachment, l’Italia fatta a pezzi), il suo discorso intende porre l’oggetto della contesa su di un piano di problematicità.
Il motivo del frammento, della lesione, del parziale, dell’incompiuto è probabilmente, peraltro, la cifra stilistica maggiormente in grado di connotare la produzione visiva di Pappa in questi ultimi anni, come si può evincere, ad esempio, dalla grande installazione dedicata allo tsunami asiatico (2005), alla quale un critico di grande rigore come Mario Costa, sempre pronto a chiederci di “dimenticare l’arte” (Cfr. M. Costa, Dimenticare l’arte. Nuovi orientamenti nella teoria e nella sperimentazione estetica, Franco Angeli, Milano, 2005), rivendica un carattere di piena contemporaneità in ragione della “sterilizzazione” e del “surgelamento” cui l’artista sottoporrebbe i frammenti di rotocalchi in netta discontinuità con l’immaginario surriscaldato che prospererebbe nell’arte dell’era della non più vigente “società dello spettacolo” (M. Costa, Peppe Pappa o dell’immagine nel freezer, in Peppe Pappa - Tsunami: architettura di un'onda anomala, catalogo della mostra, Centro d’arte e comunicazione Riflessi, Villa Avellino, Pozzuoli, 2005). Eppure, come ci insegna il Socrate protagonista del Fedone di Platone, ogni cosa ha origine dal proprio contrario (Cfr. Platone, Fedone, a cura di A. Tagliapietra, Feltrinelli, Milano, 1994) e, nel nostro caso, se è vero che l’operazione di Pappa, attraverso una molteplicità di accorgimenti (Costa chiama in causa l’uso della “tela di plastica antivento”, il “lavorio del plotter”, i “gelidi, patinati e incongruenti pezzi di immagini prelevate da qualunque magazin”, la “disposizione dei pezzi” intervallati da “silenzi circostanti”…) (M. Costa, Peppe Pappa o dell’immagine nel freezer, in Peppe Pappa - Tsunami: architettura di un'onda anomala, cit.), persegue il raffreddamento delle immagini, queste ultime, essendo comunque rappresentazioni di membra vive, entrano in collisione con il trattamento al quale sono sottoposte, sprigionando così una sorta di tepore derivante dal repentino “contrasto di temperatura”, come quando un recipiente surriscaldato, essendo immesso nell’acqua fredda, comincia ad emanare fumo.
In Insieme, ove un frammento di volto umano, allegoria di un qualsiasi comune cittadino italiano, emerge squarciando parzialmente uno sfondo costituito da un tricolore rovesciato di 90º e di estrema piattezza cromatica, quella tipica della grafica digitale, può essere riscontrato un analogo “cortocircuito termico”, al quale si sovrappone lo iato esistente tra il significato del titolo, che, riportato nella parte inferiore, fa appello alla qualità di ciò che è unito, e quanto risulta effettivamente visibile, la lacerazione prodottasi all’interno della superficie stessa della bandiera e ricadente sul volto che si scorge attraverso i suoi lacerti. Il congelamento della visione si tramuta così in congelamento dello spazio-tempo al fine di permettere una più ariosa riflessione. Tale processo di solidificazione coinvolge innanzi tutto i “mal accesi ardori” della propaganda di regime, affinché i suoi clamori lascino il campo alla reale condizione di enigmatica sospensione in cui siamo immersi, alla contemplazione di un panorama, quello del presente del nostro paese, che non riusciamo a percepire con maggiore chiarezza di quanto il personaggio che ci sta di fronte, se fosse vivo, potrebbe percepire noi che lo osserviamo (anzi forse noi percepiamo ancor meno). La contemplazione di quest’opera prende così a funzionare per lo spettatore in maniera prossima ad uno specchio.
Stefano Taccone
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