
The Slowly Project. Take your time - Modena, 2007-2008.
Sappiamo bene, tuttavia, quanto le strategie dello straniamento attitudinario, che pure sono state centrali per tanta parte delle avanguardie artistiche – e forse non solo artistiche – del XX secolo, siano alla fine incorse in una impasse, benché il dibattito sulle cause e la natura di essa siano molto più complesse di quanto solitamente si sia disposti a credere e sia ben lungi dal potersi chiudere e benché l’eredità di tali pratiche continui ad essere assolutamente operante anche negli ultimi decenni – e lo stesso caso di Luiba ne è una buona dimostrazione. Tuttavia può dirsi con una sufficiente sicurezza di non essere smentiti che il loro fallimento si è manifestato nella debolezza della loro stessa azione, contrapposta al grado di ambizione dichiarato, nella eccessiva facilità con la quale il corso normale della vita e della società, dopo essere stato forse talvolta pure non superficialmente intaccato, ha ripreso con grande sicurezza il verso del suo cammino, consolidando persino ulteriormente la bontà della sua “tenuta di strada”. Anche in questi ultimi tempi, allorché pure il pensiero unico dominante sembra impelagato in grossi problemi, essi sembrano possedere una natura più endogena che esogena: derivano cioè più da una deficienza immanente alle sue stesse promesse che da una cosciente riluttanza a lasciarsi ridurre alle logiche concatenate del suo megaingranaggio, in nome magari di un rovesciamento di queste logiche stesse o di un affrancamento da esse.

Virus, 2004.
Ma il punto, tornando a Liuba, è proprio questo: che la prospettiva delle sue destabilizzazioni non sta in un momentaneamente impossibile – e forse non necessariamente sempre e comunque auspicabile – rivolgimento permanente del consueto flusso dell’esistente, posizione che, peraltro, non sfuggirebbe a contraddizioni, in quanto sempre esposta al rischio, per così dire, di spogliare un altare per vestirne un altro, quanto nella, sia pur breve ed effimera, determinazione di uno scenario in cui la soppressione di certe norme comunemente vigenti permetta allo spettatore più o meno volontario di allargare gli orizzonti della sua mente, di prendere coscienza del fatto che certe situazioni sono sì strutturate in una determinata modalità, ma, se lo si vuole, presto o tardi potrebbero volgersi anche differentemente – un invito ad una sospensione possibile del flusso vitale in vista di un più agevole esercizio di ripiegamento-raccoglimento psico-emotivo su quello che è il suo senso profondo, dunque, che trova peraltro nel video che fa da pendant ad ognuna delle performance, la cui regia ed il cui montaggio sono a cura dell’artista stessa, ulteriore supporto. Sta allo spettatore, in ultima istanza, scegliere i caratteri dei suoi mondi possibili e desiderabili ed adoperarsi eventualmente affinché si traducano in realtà, mentre alla performer-scultrice di situazioni non spetta che dare il là, innescare quel meccanismo che metta in moto le facoltà umane e le conduca a generare nuovi pensieri ed azioni che siano specchio di un retroterra innanzi tutto individuale ma anche collettivo, risvegliare nel singolo e nella moltitudine la consapevolezza della sua potenza costituente.
Stefano Taccone
Nessun commento:
Posta un commento