(Il testo costituisce il mio contributo alla mostra collettiva La società del rischio, curata da Patrizia Bonardi in collaborazione con l'associazione artists.sociologists ed allestita presso il BACS di Leffe - Bergamo - dal 7 dicembre 2019 al 20 agosto 2020. In mostra opere degli artisti Valentina Biasetti, Patrizia Bonardi, Enzo Calibè, Ciro Ciliberti, Franco Cipriano, Carla Crosio, Antonio Davide, Francesca Lolli, Daniela Di Maro, Francesca Marconi, Renata Petti, Elena Radovix).
Il 2019 è stato l’anno del green. Mai come in quei dodici mesi infatti
probabilmente si è parlato di emergenze ecologiche - in particolare cambiamenti
del clima, scioglimento dei ghiacciai e possibilità di inondazioni -, ma è anche
apparso più che mai evidente tutto il grado di cattura spettacolare che il
“discorso verde” ha subito. Così, accanto a pensieri e paure più o meno
sotterranei, si è scatenata tutta una pletora di tossiche chiacchiere sloganistiche
provenienti dai vari attori dello spettacolo contemporaneo dalla politica sedicente
progressista alle aziende sedicenti illuminate; dagli eventi culturali a quelli
sportivi, tutti venduti come irreprensibili modelli di “sostenibilità”. Così dalle
Olimpiadi Invernali 2026, strombazzate come giochi che si sarebbero svolti
quanto mai all’insegna del rispetto dell’ambiente, ma che Milano si è aggiudicata
seguendo in diretta la cerimonia di assegnazione con assai poco sostenibili
maxischermi – è proprio il caso di esclamare “Cominciamo bene!” – al
neosegretario del maggior partito italiano dell’area della sinistra riformista che
dedica la sua elezione a Greta Thunberg e poi come primo atto dopo il suo
insediamento va a visitare il cantiere della TAV in Val di Susa, il green come
foglia di fico per continuare a perpetuare di fatto le logiche predatorie del
capitalismo ha di fatto messo nell’angolo i pur interessanti – ma quanto meno
ambigui – fermenti del nuovo movimento ambientalista nascente.
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Daniela Di Maro, Il petrolio è finito, 2018, installazione luminosa. |
Il 2020 si apriva in sostanziale continuità con tutto ciò. Si prevedeva infatti
una impennata sempre meno sostenibile di retorica sulla “economia sostenibile”,
mentre la prospettiva della catastrofe futura pareva tutto sommato ancora
troppo lontana per fare paura davvero, così come appariva lontano il
coronavirus, relegato nel “lontano oriente”. Fatti della Cina! Cosa anche buona
del resto, così l’Occidente si toglie finalmente di mezzo un “competitor” che ci
da filo da torcere da oltre un decennio, pensava qualcuno. Cosa hanno cambiato
nella nostra vita quotidiana la sars, la mers o altre epidemie dell’ultimo
ventennio? Hanno solo riempito le pagine di qualche giornale e alimentato gli
incubi di qualche ipocondriaco, ma nulla più. Magari abbiamo preso spunto per
fare qualche battuta divertente, intentare qualche barzelletta, qualche vignetta…
Più che il virus – bisogna dirlo – facevano paura i cinesi in Italia, specie in territori
ove ci sono comunità assai nutrite, e non sono mancati spiacevoli episodi di
razzismo annessi.
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Patrizia Bonardi, Onde anomale, 2019, gesso sabbia e cera d'api. |
Nell’insieme tuttavia vivevamo ancora una vita “normale”, finché non è
arrivato quel giorno dell’ultima decade di febbraio in cui tutta l’Italia ha
conosciuto il primamente oscuro paesino di Codogno. Di lì a poco la nostra vita,
si è detto, è diventata simile ad un romanzo o ad un film distopico. Significativo
il fatto che il paragone più facile e forse più calzante fosse proprio con situazioni
di finzione. Significativo del fatto di quanto per decenni e decenni le paure para-apocalittiche abbiano ingentemente popolato una parte della nostra psiche e
forse tutta la produzione creativa ha anche avuto la funzione di esorcizzarle –
sia per i produttori che per i fruitori. Chissà se ad una sorta di operazione
esorcistica non sia del resto assimilabile persino La società del rischio, apertasi
presso il BACS di Leffe il 7 dicembre 2019. Un esorcismo collettivo, un toccasana
contro le paure più o meno confessate cui si sono sottoposti con grande sollievo
gli artisti e gli spettatori, ma anche i sociologi o intellettuali di altra formazione
che hanno scritto i testi – io stesso mi pongo in questo novero!
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Antonio Davide, Affissioni, 2019. |
Bisogna ammettere che le persone più sensibili e più coscienti su un piano
politico-morale spesso percepiscono lucidamente la gravità di quanto potrebbe
accadere in un futuro prossimo, ma insieme – proprio in virtù della loro lucidità
– percepiscono anche la loro impotenza rispetto al branco di pachidermi che sta
avanzando contro di loro. Non conosco testo o immagine che sia capace di
descrivere questa sensazione meglio della poesia Privi di potere (1971) del
celeberrimo scrittore tedesco – scomparso da qualche anno - Günter Grass, che
vale la pena riportare per intero:
Leggiamo «napalm» e ci immaginiamo il napalm.
Dal momento che non possiamo immaginarci il napalm,
leggiamo del napalm, finché possiamo
immaginarci meglio il napalm.
Ora noi protestiamo contro il napalm.
Dopo la colazione, muti,
vediamo in fotografia cosa può fare il napalm.
Ci indichiamo l’un l’altro rozzi reticoli
e diciamo: vedi, questo è il napalm.
Presto ci saranno libri di fotografie a buon prezzo
con foto migliori,
dalle quali risulterà più chiaramente
cosa può fare il napalm.
Ci rosicchiamo le unghie e scriviamo proteste.
Ma c’è, così leggiamo,
qualcosa che è ben più terribile del napalm.
Subito protestiamo contro questa cosa più terribile.
Le nostre proteste giustificate, che in ogni momento
possiamo stilare piegare affrancare, le sbattiamo in libri.
Impotenza di cui si fa prova su facciate di gomma.
Impotenza fa suonare dischi: canti impotenti.
Senza potere e con la chitarra.
Ma con il pugno di ferro e in piena tranquillità
fuori agisce il potere.
Ad essa accosterei soltanto un piccolo frammento dal poemetto Le ceneri
di Gramsci (1957) di Pier Paolo Pasolini, in quanto testimonianza ancora di un simile
stato d’animo:
[…] Ma come io possiedo la storia,
essa mi possiede; ne sono illuminato:
ma a che serve la luce? […]
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Elena Radovix, Metà fisica e metà no, 2017, foto da una serie di tre. |
Ma tornando al giorno del “caso Codogno” e seguenti, ciò che va rilevato
è come una mostra come La società del rischio possa dirsi per un verso
anticipatrice inconsapevole di tutto ciò che abbiamo vissuto negli ultimi mesi e
per un altro verso assolutamente interna allo spiazzamento che ciascuno di noi
– a cominciare naturalmente dai virologi – ha subito in questo frangente. Un
conto, in altre parole, è il rischio inteso come preoccupazione affatto fondata più
o meno a lungo termine; un altro conto è trovarsi nel bel mezzo dell’ “epifania”
di quel rischio. Allora non si ha ancora certo l’effetto livellatore paragonabile alla
morte secondo Totò, ma certo molte distinzioni cominciano a perdere di senso.
Ci si ricorda ad esempio della propria vulnerabilità di esseri umani, mentre passa
quanto meno in secondo piano la coscienza di essere artisti, poeti… o di esporre
in mostre, pubblicare libri… I nostri progetti – prima ancora che i nostri corpi –
vengono quarantenati. Persino, d’altra parte, gli “investimenti verdi” si chiede di
accantonare, onde riservarli a “tempi migliori”, rendendo così palese quanto essi
fossero davvero dettati da una effettiva esigenza di tamponare una emergenza.
Non lo erano non perché la minaccia del surriscaldamento globale è una
invenzione di complottisti contro il “progresso”, ma perché quanto meno
inadeguati alla mole della catastrofe incombente, un secchiello per contenere il
mare come nella leggenda che ha per protagonista Sant’Agostino e Gesù
Bambino. Le ragioni di quegli investimenti erano dunque tutte interne alle
logiche del greenwashing, ma le strategie di marketing sono come la moda e il
vento: cambiando repentinamente direzione e intensità.
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Francesca Lolli, RiGenerazione, 2017, foto di scena di Judy QuianQuian dalla video-performance. |
La crisi del Covid ci rivela insomma – mi guarderei bene dall’adoperare la
locuzione “ci insegna” –, o quanto meno ci suggerisce, che le catastrofi globali
sono relegabili nel cassetto del futuro remoto del nostro cervello assai meno di
quanto ciascuno di noi – forse nessuno escluso, neanche Greta, Naomi Klein o i
più grandi climatologi ed ambientalisti che da decenni ci allertano su certe
minacce – potesse credere fino a poco tempo fa. Ho scritto “catastrofi globali”
ma stavo per scrivere “catastrofi ambientali”. Crediamo infatti che il Covid sia
“capitato”, così come più di una decina d’anni fa qualcuno osservò che la crisi
finanziaria e quindi economica era “capitata”, come a dire che si trattava di un
puro effetto casuale senza causa? Una spiegazione del genere mi pare quanto
meno inadeguata. Se la pandemia ci ha fatto toccare con mano quanto la voce
della scienza possa essere plurale e discordante, resta che molti scienziati da
tempo allertano non solo sul cambiamento climatico, ma anche sui nuovi virus
con cui l’uomo entra progressivamente in contatto, virus prima inaccessibili
all’uomo perché ben “protetti” nel cuore delle foreste, ma ormai sempre più “a
piede libero” nella misura in cui il comportamento umano si mostra quanto meno
devastante nei confronti degli habitat naturali delle altre specie. (1: Su questi temi cfr. almeno K. Zimmer, Malattie
infettive in aumento a causa della deforestazione, in “National
Geographic”, Milano, giovedì 19 dicembre 2019; https://www.nationalgeographic.it/ambiente/2019/12/malattie-infettive-aumento-causa-della-deforestazione ) Tra lo stesso
surriscaldamento globale e i “nuovi” virus esiste una sinistra connessione: molti
virus sono infatti “tenuti a bada” da ghiacciai che hanno i giorni contati. (2: Su questi temi cfr. almeno F. Santolini, Il cambiamento climatico potrebbe “liberare” antichi agenti patogeni, in “La Stampa”, Torino, 14 marzo 2020. https://www.lastampa.it/tuttogreen/2020/03/14/news/il-cambiamento-climatico-potrebbe-liberare-antichi-agenti-patogeni-1.38578773 ) Si
consideri inoltre la moltiplicazione degli spostamenti che l’ultimo decennio-quindicennio ha conosciuto, con la diffusione sempre più capillare – tra l’altro –
dei voli low cost – low cost per le tasche, ma certo high cost per l’ambiente -,
che per alcuni scienziati potrebbe essere un motivo non secondario della
diffusione circoscritta delle epidemie del nuovo secolo. Già perché se le epidemie
ci sono sempre state è anche vero che pare non siano mai sorte così tante in un arco temporale così ristretto come l’ultimo ventennio. Sarà anche questo un
caso? (3: Per approfondire il rapporto tra nuove epidemie e devastazione ambientale cfr. ancora A.
Pinchera, Il coronavirus e il nostro futuro prossimo, 17 maggio 2020; https://www.greenpeace.org/italy/storia/7098/il-coronavirus-e-il-nostro-futuro-prossimo/
)
Stefano Taccone