venerdì 20 agosto 2010

NAVIGANDO CON KATIA ALICANTE – Per i mari tra l’errare e l’orrore

Testo distribuito in occasione della personale Sailing di Katia Alicante, a cura di Stefano Taccone, inauguratasi il 19 agosto 2010 presso il Gazebo della Terrazza Mascagni a Livorno.

La navigazione rappresenta forse, fin dall'antichità, il viaggio per eccellenza. Ad essa l'uomo guarda da sempre in maniera ambivalente: come pratica foriera di perniciose insidie e calamità, ma anche di avventure e di scoperte sensazionali. L'intera Odissea e metà dell'Eneide, ovvero due dei tre maggiori poemi della classicità greco-romana, fondano sulla navigazione il centro dell'azione. L'era delle grandi scoperte geografiche, inaugurata dallo sbarco di Cristoforo Colombo sulle coste americane, avviene tutta all'insegna di tale prassi. Non a caso nel corso del '900, tanto in rapporto allo spazio extraterrestre quanto a quello virtuale della telematica, si sente così il bisogno di ricorrere al concetto di navigazione.



Sailing, il titolo della videoistallazione di Katia Alicante, sembra suggerire due differenti livelli di lettura. La navigazione cui allude è innanzi tutto di carattere mentale, quella che solitamente compiamo quando ci stendiamo e chiudiamo gli occhi, pur senza sprofondare completamente nel sonno, ed abbandoniamo il nostro cervello al susseguirsi delle associazioni mentali, una dinamica che scopriamo a posteriori sorprendentemente affine alla navigazione sul web, ove si passa di sito in sito, di link in link, fino a dissolvere il ricordo del punto dal quale si sono prese le mosse. Vi è poi la navigazione in senso squisitamente letterale, benché assolutamente votata a scardinare la superficie del racconto per divenire ripristino della verità ed atto di accusa.



É così che dal modellino in legno fabbricato dal nonno dell'artista, pescatore emigrato da Napoli a Livorno, emanante il candore e la suggestione tipici dell'infanzia, ma palesando anche il suo carattere di traslazione in chiave giocosa del mondo adulto, ove di giocoso vi è però ben poco, si passa, attraverso un susseguirsi di metamorfosi, ad un tipico barcone nel quale sono stipati gli immigrati (cosiddetti) clandestini; ad una nave da crociera affollata dai suoi passeggeri; al Moby Prince ed al suo rogo, avvenuto al largo del porto di Livorno nel 1991 e gravato dal forte sospetto che alla base ci fosse un traffico di armi illegale; ad una nave che affonda presso Cetraro in Calabria, sotto il cui fondale sono stati trovati rifiuti tossici e, infine, ad una nave sudcoreana ripescata dopo essere stata colata a picco al largo dell'isola di Baengnyeong, probabile vittima di una strategia della tensione di matrice atlantista.



La tradizionale visione del mare come luogo dell'ignoto, dominio del Fato ineluttabile, dei capricci degli dei (di cui sono vittima Ulisse ed Enea) o, più laicamente, di una natura ostile, in quanto assolutamente indifferente alle sorti umane, come nell' hemingwayano Il vecchio e il mare, appare così radicalmente ribaltata: le catastrofi che si offrono alla contemplazione, pur avendo il mare come teatro, possiedono origini assolutamente umane, derivano da scelte dettate dalle ragioni del profitto, più che dalle ragioni del bene comune. Si tratta, a ben vedere, del medesimo motivo che si ritrova soprattutto in un altro lavoro recente di Katia, giOCAndo, ove però è declinato in chiave relazionale, alla cui base vi è appunto il rifiuto di accettare la logica per cui il benessere di un individuo possa legittimamente fondarsi sul malessere del proprio simile, ma, sullo sfondo, esso risulta presente un po' in tutti i lavori più recenti.



La peculiare contestualizzazione un padiglione posto sul lungomare, infine, se da una parte fa sì che gli spettatori, una volta fruito della videoistallazione, non siano più in grado di osservare le navi ivi visibili con i medesimi occhi, dall’altra la immette all'interno della movida cittadina, circostanza da cui deriva la scelta di corredarla con luci psichedeliche ed una rivisitazione house della Cavalleria Rusticana del musicista livornese Pietro Mascagni compiuta da Massimo Ruberti. Il trattamento che quest’ultimo, anch’egli musicista livornese, ma contemporaneo, riserva al suo concittadino trova peraltro, operando, con il suo impianto disarmonico, una sorta di perpetuo disturbo nei confronti della classicità della traccia sonora originaria, una singolare consonanza con la vicenda narrata per immagini, ove all’originaria purezza che circoscrive il modellino in legno va repentinamente a sovrapporsi la crudezza dei disastri della storia umana.

Stefano Taccone